Continua la serie di suggerimenti per abbinare al meglio mieli, formaggi e birre, con le indicazioni di Elisa Marini Diomedi – docente e giudice in corsi e concorsi birrari, abilitata UBT (Unionbirrai Beer Tasters) – che ci fornisce importanti indicazioni per valorizzare gli accostamenti tra questi alimenti e gustarne sia le singole proprietà che il risultato di insieme, per un percorso di sperimentazione alla scoperta della percezione dei sapori e del piacere dell’abbinarli.
In questo articolo incontreremo dei prodotti enigmatici e affascinanti dal punto di vista di categorizzazione e caratterizzazione: miele di tiglio che a modo suo, certamente, ci stupirà; miele di bosco, che scopriremo essere miele di melata, e ultimo, ma non meno intrigante, incontreremo il miele millefiori (o meglio, i mieli millefiori). Per quanto riguarda le birre, scopriremo cosa designa il famigerato concetto di “birra trappista”, certamente noto anche ai non appassionati del settore.
Birra trappista: storia origine e caratteristiche
Innanzitutto occorre precisare che non si tratta di uno stile ma di un disciplinare di produzione che riguarda stili diversi. Sono essenzialmente tre i requisiti che una birra deve avere per potersi fregiare della qualifica di “trappista”: la birra deve essere prodotta all’interno di un’abbazia trappista, l’intero processo produttivo deve svolgersi sotto il diretto controllo della comunità monastica, e, infine, i proventi delle vendite devono essere utilizzati dall’Ordine a fini caritatevoli. Con “frati trappisti” si intendono i monaci affiliati all’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza. Il fondatore è Armand-Jean le Bouthillier de Rancè, nato a Parigi nel 1626, il quale, ritiratosi in Normandia nel convento di Notre-Dame de la Trappe, avviò un’importante opera di riforma all’interno dell’Ordine Cistercense. Ritenendo troppo liberali i comportamenti dei monaci cistercensi, decise di ristabilire le osservanze tradizionali: astinenza, lavoro dei campi, clausura, silenzio e veglie (nonché mortificazione del corpo e ascesi). L’Ordine così riformato prese il nome di Cistercensi della Stretta Osservanza e, dal nome dell’Abbazia in cui nacque la riforma, La Trappe, derivò quello con cui sono noti ancora oggi gli appartenenti all’Ordine, i frati Trappisti. Col passare del tempo queste rigide regole (tra cui quella che imponeva di bere soltanto acqua) si ammorbidirono, e i monaci vincolati alla “stretta osservanza” poterono (fortunatamente) dedicarsi alla produzione della birra.
Gli stili: Dubbel, Tripel e Quadrupel
Quanto alla caratterizzazione organolettica, abbiamo già evidenziato come non ci siano elementi per tracciare un profilo sensoriale comune preciso e definito; tuttavia troviamo dei tratti ricorrenti, ed esistono alcuni stili ai quali è possibile ascrivere molte birre trappiste: si tratta (anche, ma non solo) di stili come Dubbel, appunto, ma anche Tripel e Quadrupel, che incontreremo lungo il nostro percorso.
Le Dubbel sono birre di colore ambrato carico, tendente al bruno, con sentori di frutta disidratata (prugne, uva passa, ciliegie), discreta carbonazione e finale secco, che attenua la percezione del contenuto alcolico (6 – 7,5%). Le Tripel sono invece dorate, più alcoliche (7,5-9,5%). All’olfatto sono ben percepibili le note fruttate (mela, banana) e speziate (pepate e fenoliche) conferite dai lieviti, che incontrano quelle maltate (pane, miele) e quelle floreali date dal luppolo; il finale secco, moderatamente amaro, ed il calore etilico calmierato dalla generosa carbonazione, le rendono birre estremamente facili da bere. A seguire troviamo le Quadrupel, dove aumenta la gradazione alcolica, fino ad un range compreso tra 8 e 12%, aumenta l’intensità del colore, dall’ambrato carico al bruno, e così la complessità aromatica, incentrata su note di caramello, liquirizia, biscotto, parte esterna dei dolci da forno, frutta secca (mandorle) e frutta disidratata (uvetta, fichi, prugne).
Miele di tiglio con formaggio Castelmagno e birra trappista in stile dubbel
Il primo abbinamento proposto vede il miele di tiglio accompagnato da formaggio Castelmagno e birra in stile dubbel. Il miele di tiglio, particolare ed insolito, può suscitare entusiasmo o delusione ma, certamente, non indifferenza; il suo colore è chiaro, la tendenza a cristallizzare bassa. Il suo sapore è normalmente dolce, per nulla acido, con amaro da non percepibile a medio. Odore e aroma coincidono, con sentori riconducibili alla famiglia del “chimico”, spesso descritti come “di farmacia” (non facciamoci intimorire dai descrittori!). Trattasi di note aromatiche canforate e resinose piuttosto marcate, che rendono questo miele sorprendente al primo assaggio, poiché si discosta dall’idea di “miele” nell’immaginario collettivo; ricordiamo che il sapore di un alimento si forma nel cervello dell’assaggiatore e, come ogni nostra esperienza, non sfugge al condizionamento dato dall’aspettativa.
Infine il Castelmagno, che fungerà da ponte, tra il miele e la birra, è un formaggio semigrasso, prodotto con latte di animali in alpeggio; questo aspetto conferisce spiccate note aromatiche per via di determinati composti (“terpeni”) presenti nei vegetali dei pascoli. Si tratta di un prodotto che, con il progredire della stagionatura, raggiunge un’aromaticità persistente ed equilibrata, con sentori che vanno dal vegetale alla frutta secca (noce, in particolare), ed una consistenza compatta.
In questo primo trio vediamo che tutti i prodotti in gioco presentano aromaticità equilibrate dal punto di vista di intensità e complessità, conditio sine qua non per la buona riuscita dell’abbinamento. Si tratta senza dubbio di un abbinamento audace, dove sarà il Castelmagno a fungere da anello di congiunzione, anche in termini di sensazioni tattili in bocca, tra il miele, con i suoi sentori resinosi e canforati, e la birra, con i suoi marcati richiami alla frutta secca ed essiccata.
Miele di bosco con mascarpone e birra trappista in stile quadrupel
Il secondo trio di prodotti si rivela non meno audace del primo: troviamo infatti miele di bosco, accompagnato da mascarpone artigianale e birra trappista in stile quadrupel.
Come già accennato, il miele di bosco ha una derivazione molto peculiare: le api raccolgono infatti non il nettare, bensì la melata, proveniente dai vegetali attaccati dalla metcalfa pruinosa (insetto di origine americana, ampiamente diffusosi nel nostro paese) che si nutre della linfa di numerose piante, spontanee e coltivate, producendo appunto la melata, dalla quale viene poi ottenuto il miele. Questo miele, molto caratteristico, ha colore scuro e consistenza liquida con bassa tendenza a cristallizzare, ed una certa corposità data dalla presenza relativamente elevata di zuccheri complessi. Il suo odore è mediamente intenso, caratterizzato da note caramellate e vegetali (pomodori essiccati, conserva di pomodori); l’aroma è coerente con l’odore, e può presentare in aggiunta sentori di frutta trasformata (prugne essiccate) e connotati aromatici legnosi, il retrogusto richiama il terroso e la corteccia. Il gusto, infine, è poco dolce, di una dolcezza che ricorda quella del malto, del quale può essere utilizzato come succedaneo, per nulla amaro e con acidità debolmente percepibile.
Il mascarpone artigianale si presenta di colore bianco-crema, odore e aroma sono poco intensi, delicati, con riconoscimenti lattici di burro fresco e frutta secca (nocciola); il gusto è spiccatamente dolce, esaltato dall’elevato contenuto di sostanza grassa (ricordiamo che il grasso potrebbe presto essere annoverato tra i gusti base), con qualche leggera evidenza acidula residua della lavorazione. Il mascarpone avvolgerà la bocca con la sua consistenza quasi impalpabile, morbida, cremosa, quasi suadente, in una sorta di continuum tattile con la corposità e la pienezza del miele, del quale andrà ad esaltare complessità e ricchezza aromatica. La birra in stile quadrupel ripulirà la bocca grazie al suo elevato tenore alcolico e, al tempo stesso, richiamerà i sentori caramellati e fruttati del miele. Si tratta qui di due prodotti, il miele e la birra, dai caratteri aromatici molto marcati, accompagnati da un prodotto più delicato ma dallo spiccato “gusto grasso”, il mascarpone, che fungerà da “esaltatore di aromaticità”.
Miele millefiori con squaquerone e birra trappista in stile tripel
Nell’ultimo abbinamento che incontriamo (non certo ultimo in termini di originalità), vediamo miele millefiori, Squaquerone di Romagna e birra trappista in stile tripel.
Parlando di “Miele Millefiori”, è doverosa una presentazione e necessaria una precisazione: è importante usare il plurale. Si tratta infatti di un concetto sfuggente, che mal si adatta ad essere imbrigliato in una definizione statica, immediata e, soprattutto, univoca. Con “mieli millefiori”, infatti, intendiamo tutto ciò che non è strettamente identificabile come monoflorale, ma certamente non abbiamo fornito nessuna specifica informazione, poiché non si tratta di un solo prodotto, bensì di una miriade di possibili combinazioni di nettari provenienti da tutte le specie botaniche nettarifere bottinate dalle api in un determinato territorio; i “millefiori” incarnano il concetto di “terroir”, termine che designa il legame esistente tra il prodotto agricolo e tutti i fattori, geografici, pedoclimatici e umani, che ne assicurano l’unicità. Se ad oggi le produzioni uniflorali trovano una collocazione ben delineata, la “questione dei millefiori” rimane aperta. La principale difficoltà nel percorso di valorizzazione dei millefiori risiede proprio nella profonda variabilità interna a questa categoria, che racchiude tanti prodotti sotto un solo nome.
Approcciando un miele millefiori il consumatore si aspetta uno standard che incarni l’immaginario comune del prodotto miele, quindi, nella maggior parte dei casi, un prodotto chiaro o ambrato, con odore ed aroma corrispondenti al “classico” miele (odore dolce e caramellato senza note particolarmente marcate) e gusto ovviamente dolce, privo di note amare. Che dire allora di un millefiori estivo delle valli alpine con prevalenza di tiglio o castagno (aroma ed odore intensi, tra il cuoio e la trementina, con retrogusto amaro persistente), oppure di un millefiori dell’Appennino centrale con nettare di timo (odore pungente tra l’acetico e il caprino) o di santoreggia (tipica nota di muffa)? Di fronte a prodotti come questi (descritti con termini volutamente poco invitanti ma che, come già detto, non dovrebbero incutere timore) il consumatore impreparato resterebbe quantomeno sorpreso. I concetti di “buono” e “cattivo” si riducono ad una mera questione di gusti e, soprattutto, di aspettative. Un miele per taluni sgradevole per altri potrebbe essere delizioso. Cosa possiamo dire, allora, per delineare il prodotto che vi proponiamo in abbinamento con Squaquerone e birra tripel? Questo miele millefiori tende a cristallizzare ed ha colore ambrato. Al naso può presentare note floreali e sentori di frutta candita. Il suo gusto è dolce e la sua scala aromatica, pur rimanendo generalmente coerente con l’aspetto olfattivo, può risultare estremamente ampia e diversificata riservando note inaspettate grazie, come abbiamo visto, alla variabilità della stagione di raccolta da parte delle api prima e dell’apicoltore poi. Viene prodotto durante la primavera e l’estate, specialmente sulle colline degli Appennini.
Lo Squaquerone di Romagna, senza crosta ne buccia, è di colore bianco madreperlaceo ed è caratterizzato da un profilo olfatto-gustativo molto gradevole: dolce, con una punta acidula e salato presente ma non invadente. L’aroma è delicato, tipicamente di latte fresco-acido, con una nota erbacea. Sarà nuovamente il formaggio a fungere da legante tra birra e miele, mentre a fare da protagonista sarà la ricchezza aromatica della birra: qui, infatti, avremo un’alternanza tra la dolcezza del miele, la sapidità dello squaquerone e il carattere riccamente speziato e fruttato della tripel che, con la sua carbonazione, il tenore alcolico elevato ed il finale secco andrà nuovamente a rinfrescare e ripulire la bocca, invogliandoci al boccone successivo.
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